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Sullo sfondo nella parte
sinistra del grande affresco, a sinistra della battaglia, in
basso, si scorgono le mura, i bastioni
e la porta serrata di una città.
Secondo lo storico perugino Francesco Tommasi la città
ritratta sullo sfondo è Nablus, in Samaria, e la battaglia è
del 30 ottobre 1242 voluta e vinta dai cavalieri del Tempio
e dai loro alleati.
Nel 1242 il governatore an-Nasir di Kerak inviò truppe che
imponevano pedaggi a mercanti e pellegrini sulla
strada per Gerusalemme, come ritorsione ad una scorreria dei
templari contro la città di Hebron..
Ciò indusse i templari a uscire da Giaffa per prendere
Nablus e il 30 ottobre 1242 entrarono in città, la
saccheggiarono, dando alle fiamme la sua grande moschea,
massacrarono per tre giorni tutti gli abitanti, compresi i
numerosi cristiani, e fecero moltissimi prigionieri.
In Europa questa battaglia fu celebrata come un grande
successo. Un cronista inglese scrive così:
«I templari in Terra Santa trionfarono gloriosamente su
molte migliaia di saraceni, in modo più miracoloso che per
umana forza, con una vittoria impensabile». A dire il vero,
si stenta a riconoscere in un trionfo il massacro di Nablus.
Due anni dopo, nel 1244, l'armata turca assoldata dagli
egiziani conquistò Gerusalemme, profanando le tombe e il
Santo Sepolcro, prima che l'esercito del sultano d'Egitto
sconfiggesse a Herbiya (La Forbie), presso Gaza, l'esercito
congiunto dei principi musulmani di Siria e dei crociati.
Nel 1245, anche Damasco si arrese al sultano Ayub.
Se l'identificazione con la battaglia di Nablus è fondata,
siamo nel cuore della vita e della gloria di un grande e
potente ordine, che si auto rappresenta attraverso un
importante fatto d'arme avvenuto una ventina d'anni prima in
Palestina. L'affresco di San Bevignate farebbe quindi parte
di questa propaganda templare.
Protagonisti di questo «primo livello» del dipinto perugino
sono quindi i bellatores, i combattenti, coloro che nella
società latina rappresentano i potenti laici e che, secondo
l'istituzione ecclesiastica, avrebbero dovuto esercitare il
ruolo di «braccio armato» della Chiesa.
Si può dire che la parte dell'affresco situata nel punto più
in basso è dedicata al dolore che si procurano gli uomini,
all'effetto del peccato, alla vita e alla morte
dell'umanità.
Ma c'è una complicazione. E non da poco.
Quei cavalieri templari che non si distinguono in nulla dai
loro avversari, se non per le insegne e le immagini che ci
permettono di attribuire gli uni al campo musulmano e gli
altri al campo crociato, ebbene, quei cavalieri sono anche
dei frati, dei religiosi che hanno professato i voti
monastici di povertà, castità e obbedienza e che seguono una
regola. Come era possibile? Nella cristianità, i chieric e i
religiosi non prendevano le armi.
Eppure, i frati templari erano anche cavalieri.
Cerrini S.L'Apocalisse dei Templari,
cit
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