associazione culturale
AMICI DI SAN BEVIGNATE
 
SAN BEVIGNATE
La vicenda del complesso edilizio.

(P. Scarpellini, Templari e Ospitalieri in Italia, Milano 1987, pp. 97-102)
   
Sappiamo che nel luogo ove poi sorsero la chiesa ed il convento dei Templari v'era un oratorio dedicato a san Girolamo, di cui è oggi impossibile non solo farsi una qualche idea strutturale ed architettonica, ma persino rintracciarne l'esatta ubicazione. L'attuale edificio si ricollega dunque interamente alla storia di quell'ordine militare la cui presenza a Perugia e nei dintorni diviene sempre più significativa nel corso del Duecento, specie dopo che la precettoria dei Santi Giustino e Girolamo aveva acquistato una particolare importanza per opera di un frate cavaliere, quel Bonvicino, probabilmente assisano, cubicolario di Gregorio IX, influentissimo in Curia anche sotto Innocenzo IV ed Alessandro IV. E sarà appunto con la sempre più frequente presenza de i papi a Perugia che la sede di San Bevignate verrà a prendere un ruolo via via crescente, fino a diventare, come vedremo, casa madre di tutti i conventi del l'ordine nel Patrimonio di San Pietro in Tuscia.
La nuova chiesa, dedicata a quanto pare congiuntamente ai santi Girolamo e Bevignate (il secondo un misterioso eremita vissuto in questi luoghi in epoca incerta), era già in costruzione nel giugno 1256 e doveva essere a buon punto nell'ottobre 1262, quando Bo nvicino chiedeva ai canonici della cattedrale "quendam marmoreum lapidem", forse per la mensa d'altare.Tutto fa dunque creder e che il monumento fosse compiuto di lì a poco tempo.
Non vi è alcun dubbio che San Bevignate, così come noi oggi lo vediamo, corrisponda per intero a quel periodo, non essendovi inglobati resti d'edifici anteriori, né risultando evidenti aggiunte e modifiche di qualche rilievo.
Dal punto di vista tipologico la chiesa non si discosta dalla formula che gli ordini militari utilizzavano per le loro cappelle nei manieri palestinesi, una semplice struttura rettangola re ad unica navata come, per restarcene nell'ambito templare, abbiamo a Safita ed a Tortosa, e come ritroviamo in una quantità di altre chiese dell'ordine sparse in tutto l'Occidente, d'aspetto semplice, nudo, arcigno, in evidente rapporto con la loro filiazione militare.
Manca purtroppo uno studio di insieme che colleghi tra loro questi insediamenti e ne metta in evidenza, in modo puntuale, specifico, le caratteristiche comuni: e tuttavia ci azzarderemo qui lo stesso a proporre un parallelo che potrà venire al proposito nel caso nostro. Mi pare difatti che San Bevignate mostri notevoli corrispondenze con la chiesa della "commanderie" di Montsaunès (Haute Garonne) situata in un luogo strategico sulle propaggini pirenaiche, per le dimensioni notevolmente ed insolitamente ampie, per la divisione interna in campate, per la presenza di una cella absidale più bassa rispetto all'invaso della navata (motivo comune nelle chiese cistercensi), per la collocazione dei due portali in pietra, uno sulla fronte della chiesa, l'altro sul fianco sinistro, utilizzati probabilmente per l'accesso di diverse categorie di persone, nonché, come si vedrà, anche per aspetti della decorazione affrescata all'interno. Tuttavia qui a San Bevignate appaiono anche molto evidenti le relazioni con le chiese francescane umbre, a cominciare con le due basiliche d'Assisi, dalle quali proviene certo il partito delle ampie crociere poggianti su pilastri triastili emergenti dalle pareti e dagli archi diaframmi a sesto acuto: mentre la presenza dei due possenti sproni che incastellano la facciata potrebbe ispirarsi al San Francesco al Prato di Perugia, allora in costruzione.
Tuttavia mentre in quei solenni monumenti vediamo all'opera maestranze di superiore levatura, scultori d'alto lignaggio, a San Bevignate gli artefici appaiono molto più modesti,
come dicono le rudi cortine murarie in arenaria, la stessa semplicità interpretativa delle varie modanature, delle basi, dei fusti, dei capitelli. Non è perciò fuor di luogo pensare che qui abbia lavorato la stessa fraglia di muratori e scalpellini la quale operò pressappoco negli stessi tempi anche nella vicina chiesa di Monteluce ed a Montelabbate oltre il Tevere, offrendoci come una versione squisitamente arcaizzante e dialettale dei grandi modelli contemporanei.
Neppure la prima decorazione pittorica si sottrae al "sermo rusticus" di cui abbiamo detto più sopra, sviluppando un carattere non aulico ma semplicemente didascalico e discorsivo, anche se il livello artistico appare senz'altro superiore a quello di San Prospero. E che l'opera sia stata condotta subito, in modo spicciativo, continuativo, nella cella absidale e nel transetto, presumibilmente non appena compiuti i lavori architettonici, ed in breve periodo di tempo, sembra potersi desumere dall'unitarietà del programma e dalle modalità stesse dell'esecuzione, molto evidenti non appena si guardi con un po' d'attenzione agli affreschi superstiti. Ci troviamo difatti dinanzi all'opera di una stessa maestranza (in cui è però possi­bile distinguere più mani), ad una stessa tecnica d'affresco, condotto sul muro tutto di prima , quasi senza traccia di riprese a tempera, rapidi segni neri, rossi, gialli, grigi gettati giù sull'intonaco, e poi rapide stesure con i soliti quattro colori ora più densi, impastati, ora liquidi, trasparenti, rialzati da forti lumeggiature al bianco di calce. Nella  cella i temi che si intrecciano liberamente tra loro sono tre. Il primo si riferisce alle specifiche esigenze liturgiche ed istituzionali dell'ordine; poi vi è quello che riguarda il culto locale, in cui un certo spazio viene preso dal personaggio più venerato sul posto, cioè san Bevignate; infine incontriamo figurazioni connesse con la presenza in loco dei Flagellanti che proprio qui trovarono, a quanto pare, la loro prima base operativa. Tale singolare mescolanza sembrerebbe potersi spiegare con il ruolo assunto dal Tempio nella vita di Perugia, per cui esso non si chiude, non si estrania, ma partecipa invece attivamente ad iniziative e decisioni  di carattere culturale e politico, assumendo anche compiti ben precisi, elargendo, ad esempio, un servizio parrocchiale per gli abitanti dei luoghi, fornendo appoggio al movimento di fra Raniero Fasani, che era per l'appunto origina­ rio di  questa zona  della città.
Nella navata invece il grande invaso venne affrescato con pitture decorative ed insieme emblematiche che, fatta eccezione per due episodi ancora riferibili al santo locale, sono tutte connesse con il Tempio, così come sembrano esserlo i brani degli affreschi della controfacciata che narrano, molto vivacemente, momenti della vita palestinese, viaggi per mare, scene di monastero, battaglie con gli infedeli, insieme a rinnovate  rappresentazioni simboliche. Inoltre le pareti  sgombre da figurazioni vennero ricoperte da  un singolare motivo decorativo, caratteristico, a quanto pare, delle chiese templari, figurando anche a Cressac e a Montsaunès, e cioè da un parato di finte pietre tale da ricostituire in certo qual modo sull'intonaco la sottostante cortina muraria come se essa fosse in vista. Siffatto partito, oggi appesantito e falsato dal restauro, per cui l'interno finisce con l'acquistare l'aspetto finto medioevale di certi "hostarie", molto di moda alcune decine di anni addietro, è tuttavia certamente autentico, come si deduce da brani superstiti: e vien quasi fatto di pensare che esso avesse per i Templari un significato specifico, forse, chissà, quello di riportare alla mente dei fratelli la austera semplicità delle cappelle d'armi di Terra Santa.